Statuto speciale e ordinario/Bisogna mettere mano alla riforma del Titolo V Un dibattito sulle Regioni e la loro efficacia di Antonio Suraci* Quando nel dibattito costituente venne affrontato il problema delle Regioni, era da poco terminata la Seconda guerra mondiale e, soprattutto, era di là da venire la formazione di un’Europa dei popoli, politica ed economica, auspicata da Spinelli nel "Manifesto" di Ventotene. Il dibattito sulle Regioni prese due direzioni, allora ritenute importanti, oggi confermate dal novellato Titolo V della Costituzione: le Regioni alle quali doveva essere prestata una particolare attenzione, e il resto delle stesse, che potevano essere prese in considerazione attraverso un’unica impostazione politico-costituzionale. Prevalente tale opinione, la materia venne regolata da una impostazione diversificata: alcune Regioni a statuto speciale, i cui statuti sarebbero stati approvati con legge costituzionale, e le altre a statuto ordinario. Le prime rispondevano a dei criteri allora ritenuti fondamentali che prendevano in considerazione la particolarità geografica di confine e lo stato di arretratezza di alcune Regioni meridionali. La Sicilia, peraltro, viveva un momento di grande turbolenza politica e sociale che minava lo stesso orientamento unitario della Repubblica. Relativamente al primo punto, alla Valle d’Aosta, al Friuli Venezia Giulia e al Trentino Alto Adige, considerate Regioni di confine abitate da forti minoranze non di lingua italiana, per motivi sociali e geopolitici (era soprattutto il caso del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige) venne riconosciuta una speciale autonomia regolata costituzionalmente attraverso lo Statuto. Tali decisioni partivano dalla considerazione che le minoranze presenti, adottando una legislazione ordinaria, potessero sentirsi penalizzate e potessero quindi allearsi con movimenti politici di oltre confine, mettendo in pericolo la stessa unità nazionale. Per quanto riguarda l’Alto Adige, a maggioranza di cittadini di lingua tedesca, tale pericolo si concretizzò, nonostante l’accordo De Gasperi-Gruber, in una violenta campagna terroristica contro la popolazione italiana costretta a vivere una stagione di vero isolamento. Per porre fine a questa rinnovata tragedia, nel 1972 venne siglato un nuovo accordo, il cosiddetto "Pacchetto di Autonomia", con il quale si riconosceva alla popolazione di lingua tedesca una più ampia autonomia con il rafforzamento delle Province di Trento e Bolzano e con un rinnovato Ente-regione che, di fatto, aveva, ed ha, meno poteri delle Province stesse. Diverso fu il caso delle Regioni Sicilia e Sardegna in quanto il dibattito costituzionale evidenziò quanto entrambe, versando in uno stato di arretratezza maggiore rispetto a quelle continentali, necessitassero di un sistema dotato di maggiori poteri di intervento finalizzati al recupero delle disparità sociali ed economiche. Per la Sicilia in particolare, attraversata da forti tensioni separatiste, si ritenne ‘pacificatore’ il riconoscimento di una autonomia speciale che portasse la classe politica siciliana a lavorare in uno spirito nazionale di rilancio dell’economia dell’intero Paese. Da tali motivazioni nascono le Regioni a statuto speciale con maggiori poteri, anche legislativi, rispetto a quelle a statuto ordinario. Se le motivazioni esposte, allora, potevano rispondere ad esigenze politiche reali perché influenzate da esigenze economiche e internazionali, oggi non si ravvisa più la necessità di mantenere una legislazione regionale differenziata, non tanto per motivazioni di carattere istituzionale interno, quanto per la nuova realtà che si è venuta formando ed in riferimento alla quale si ritiene che parte della legislazione e dell’organizzazione istituzionale debba essere adeguata: l’Europa. Non ci dilunghiamo sulla discutibile riforma del Titolo V che pone sullo stesso piano i diversi livelli istituzionali creando le difficoltà ben note alla Corte Costituzionale (La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione…), quanto ci riferiamo alla necessità di equiparare, alla luce dei Trattati europei, le Regioni su un unico piano politico e istituzionale. Dopo il Trattato di Maastricht, che già prevedeva un diverso ruolo delle Regioni, nel trattato di Lisbona è stata rafforzata la rilevante e delicata responsabilizzazione politica delle Regioni cui è imposto di dare tempestiva attuazione a norme comunitarie che investano materie di loro competenza. E’ necessario ricordare, inoltre, che oltre un quinto delle nostre procedure di infrazione ricade nella diretta responsabilità degli enti regionali e locali, concentrandosi nei settori dell’ambiente (in particolare, nella puntuale applicazione delle valutazioni di impatto ambientale e delle direttive sugli habitat naturali) e del mercato interno (soprattutto in tema di appalti e concessioni). Così come non è irrilevante ricordare che la partecipazione delle Regioni al processo decisionale dell’Unione ruota attorno al Comitato delle Regioni, un organo consultivo del Parlamento, del Consiglio e della Commissione per gli atti che interessano le realtà locali e regionali (in particolare: coesione economica e sociale, reti transeuropee, sanità pubblica, istruzione e cultura, politica occupazionale, politica sociale, ambiente, formazione professionale e trasporti, interessi delle autonomie locali nel contesto istituzionale). Rappresentando la legislazione europea il livello di riferimento delle politiche istituzionali nazionali che si intende applicare, si ritiene necessario e opportuno rendere omogenea la legislazione interna equiparando tutte le Regioni alla prevista legislazione ordinaria, favorendo in tal modo una maggiore omogeneizzazione tra le stesse non ravvisando più le sollecitazioni avanzate in sede di Costituente. Nel caso del Trentino Alto Adige, per le specificità connesse alla storia e alla popolazione, forti del convincimento di appartenere ormai ad un’unica realtà europea, pensiamo sia auspicabile realizzare due distinte Regioni che includano nei propri statuti quanto previsto nella legislazione europea a tutela delle minoranze e della integrità territoriale, superando in tal modo le motivazioni che hanno dato vita alla differenziazione. A tale proposito, è anche giunto il momento che la Sicilia e la Sardegna, dopo molti decenni attraverso i quali non si può affermare che la ‘specialità’ accordata loro dal legislatore costituente abbia raggiunto quanto auspicato, rientrino nell’omogeneità istituzionale senza più rappresentare il distinguo di cui tutt’oggi godono. Giunti a questo punto, è evidente che le garanzie di un tempo oggi non abbiano più ragione di esistere e che il loro mantenimento rappresenti un privilegio discriminante verso i cittadini delle Regioni a statuto ordinario. Se pensiamo che le Regioni a statuto speciale trattengono tra il 60% e il 100% delle imposte, è facile comprendere quanto la discriminazione, appartenendo tutti alla nuova realtà europea, rappresenti una vera ingiustizia costituzionale. Tali differenze, alla luce dell’attuale crisi economica, rappresentano situazioni di svantaggio per la maggioranza dei cittadini italiani non più accettabili. Bisogna mettere mano, con sollecitudine, alla riforma del Titolo V della Costituzione ridisegnando, con equilibrio e saggezza politica, ruoli omogenei per gli Enti territoriali ridefinendone compiti ed autonomie, rimodulando su questi Enti i compiti delle Province le quali, pur accorpate dal decreto del Governo Monti, necessitano di una legge costituzionale per la loro definitiva abolizione. In questo ambito proponiamo di superare i due regimi, ordinario e speciale, che oggi condannano la maggioranza dei cittadini italiani a non poter usufruire dei vantaggi economici e legislativi previsti per le Regioni a statuto speciale, dando vita ad uno squilibrio economico e sociale. Infine, le Regioni a Statuto speciale, accedendo ai benefici europei al pari di quelle ordinarie, si trovano, sul piano interno, a godere di vantaggi economici particolari che le mettono in una posizione di funzionalità assai superiore. Non si tratta di togliere agli uni per dare ad altri, ma di rendere omogeneo, innovando, il sistema istituzionale ed amministrativo della Repubblica. *Capo Segreteria Politica Pri |